lunedì 7 ottobre 2013

La mia amica Helene Blignaut


e giuro che posso definirla così. 

Mi sento autorizzata. Da Lei, che quando mi scrive, nell’e mail mi definisce “giovane stilista antica romana, mentre per se stessa usa: “giovane stilista milanese moderna”. Ovvero lo spot TV di Cynar con Elio e le Storie Tese. Così è chiaro perché l’adoro. La sua, sempre raffinata ironia su ogni cosa, come solo i grandi sanno fare.



Helene, una sola, ma gigantesca e impertinente domanda.

Tu che hai scritto molto libri sulla moda e sul costume, che la grande moda italiana l’hai vissuta da professionista e oggi sei nientepopodimenoche la consulente del Governo del Sud Africa, credi (come me) che la Moda Italiana sia finita? I Brand storici, d’italiano hanno ormai solo il nome e i nostri giovani designer lavorano all’estero (Riccardo Tisci da Givenchy, Fausto Puglisi da Ungaro, Giambattista Valli a Parigi e Alessandro Dell’Acqua da Rochas). E come se non bastasse, nuovi Gruppi dall’est e non solo, creano brand con nomi italiani e si insediano su Via Montenapoleone.
In sintesi, la tua previsione è pessimistica come la mia? Perché avrei quasi voglia di andare al mare.

Mi pare che la questione non sia tanto da porsi sulla vita/morte della moda italiana, ma che sia invece la moda globale a non sentirsi tanto bene. E che ormai la moda, tutta la moda, sia stata smascherata (perché siamo d’accordo che aldilà del bisogno termico e del pudore, l’oggetto vestimentario non sia, in realtà, altro che maschera.) Ebbene, è come se “la gente” si fosse stufata, appunto, di mascherarsi secondo certi canoni imposti. Non ne può più dei “dettami dello stile”; gli è venuta una barba lunga così sul “cosa abbino a cosa”; ne ha fin sopra i capelli della “tradizione che si coniuga con l’innovazione”, della “cura del dettaglio”, della “fattura sartoriale”, “di uno stile per una donna contemporanea, informata e che ama viaggiare”. E’ come se ci fosse in atto una rivoluzione permanente e alla fine ci si vestiamo un po’ come ci pare, stilisti di noi stessi .
Tu figurati, allora, la reazione di quelli che si sono messi in testa di fare gli stilisti o lo sono da epoca immemorabile. Non ci capiscono più niente. Ma non si arrendono e allora dicono che alla gente piace “mixare”. E parlano di ricerca e di avanguardia, di limited edition, di collection privé, di vintage e di stili tipo anni ’30, ’40, ’50, ’60, ’70, ’80, ’90. E se aspettiamo ancora un po’, poi inventeranno lo stile ’00, zero zero, oppure 2k come dire gli anni 2000. Sempre che qualcuno ci capisca qualcosa su com’era lo stile anni 2000.  Eh va beh! Niente male. L’industria italiana resiste bene, il tessile, le produzioni. Ma l’abbigliamento libero ormai batte la moda canonica.
Ma guardate un po’ me, con Maria Katia che mi dice “ho trovato una tua bella fotografia.” Ossignore! Odio essere fotografata. Anche su Twitter ci ho lasciato l’uovo. La foto che ha trovato Maria Katia è il simulacro di quello che sto dicendo, nel senso che mi vesto come mi va quel giorno lì. E quel giorno si vede che avevo freddo (l’indizio è la faccia ingiù) e ho inopinatamente/liberamente aggiunto pezzi.
Vorrei tuttavia dire che cose belle di moda ce ne sono, per fortuna. Ma nel senso che si tratta di un bello che trascende la moda stessa, che va oltre, così come ci sono fantastici oggetti di Design, belle opere d’arte, bei libri, bei film. In genere, le belle cose della moda sono quelle che si riconoscono a una prima occhiata senza nemmeno vedere il marchio. Quelle che riescono a mantenere il Segno estetico sotto il quale sono  nate e con il quale sono imposte.  Ma poche, pochissime...





(photo Tumblr)


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